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Slow Days, Fast Company: Il mondo, la carne. L.A, Eve Babitz e la sua inedita Los Angels

Per molto tempo è stata tratta come una scrittrice di serie B, una leziosa gossippara senza peso né talento, tuttavia i suoi scritti, come velieri, sono giunti fino noi avanzando di decade in decade e quello che ci troviamo della Babitz è una rappresentazione totalmente inedita della città, che oltre ad averle donato gli annali, è stata la sua folle Mecca: Los Angeles.

Ma chi è Eve Babitz? La Babitz è in primis una donna che trasuda libertà, figlia di un tempo in cui si lottava per averne. Il suo retaggio culturale è sicuramente stato di grande aiuto nel plasmare la sua identità, la Babitz infatti, era figlia di Mae Babitz artista nota per le sue stampe architettoniche e di Sol Babitz violinista contralto della 20th Century Fox. Non meno noto il suo padrino: il celebre violinista Igor Stravinsky (che era solito allungargli alcolici sotto il tavolo ad ogni cena di famiglia). Come potete intuire, nulla del retaggio culturale della Babitz si declina in note conformi a quello che era l’ordinario mondo degli anni 60, ( viene ancora ricordata come la ragazza che nel 1963 giocò nuda a scacchi con il campione Marcel Dunchamp).

Photo Credit: Amazon

La sua carriera come artista cominciò nell’industria musicale, realizzando copertine di album musicali. Successivamente i suoi articoli e racconti sono apparsi su riviste come: Rolling StoneThe Village, VoiceVogueCosmopolitan e Esquire, ma è grazie ai suoi libri che riesce davvero a svelarsi e a far conoscere al mondo una realtà losangelina che mai avremo immaginato.

Ho voluto avviare questa “operazione Babitz” con il libro Slow Days, Fast Company: Il mondo, la carne. L.A poiché considerato uno degli scritti più intimi della Babitz. Potremmo definire il genere come una sorta di memoir/fiction, tuttavia non sono i tecnicismi che mi hanno appassionato a questa lettura, ma la realtà color seppia raccontata nelle sue pagine, una realtà che sa di tempi lontani, tempi in cui tutto sembrava possibile, dove si potevano intrattenere conversazioni con artisti, scrittori e musicisti di ogni età e genere, dove l’arte era parte dell’ordinario e molto spesso veniva accantonata per far spazio alla disillusione nei confronti dell’amore.

“L’arte scompare sempre ma il sesso anche prima”

Per la Babitz l’amore era solo un falso idolo della sua epoca e tentò in tutti modi di non farsi ammaliare, ciò la rese forse più sola e cinica ma anche tremendamente libera. Questo disincanto emozionale la portò spesso a ridurre le proprie relazioni a degli incontri occasionali; la Babitz non si aspettava mai il lieto fine, poiché cosciente del fatto che portasse solo alla morte dell’autodeterminazione femminile. Ella ammette senza mezzi termini che le donne fossero in qualche modo nate per la rinuncia e la sofferenza in nome di un amore che le avrebbe distrutte; questo fu tutto ciò da cui fuggì. Compensò il suo “nichilismo sentimentale” con un amore molto più grande ed intimo : quello per la sua città, Los Angels.

Photo Credit: Rivista Studio

“Le donne sono pronte a soffrire per amore; è scritto nel certificato di nascita. Le donne non sono pronte ad avere tutto, non il tutto legato al successo. Cioè, non quando il tutto consiste nel vivere per sempre felici e contente con il principe azzurro ( cosa che, anche se dovesse succedere e poi il principe scappasse con la babysitter, creerebbe quantomeno un precedente). Non ci sono precedenti di donne che riescono a ottenere il loro tutto e scoprono che non è la risposta. Soprattutto se ottieni fama, soldi e amore cantando a squarciagola quanto sei triste e a pezzi.”

Leggendo il libro si comprende da subito quanto il “locus” narrativo sia il vero protagonista del libro, è impossibile citare la Babitz senza citare Los Angeles. Immergendosi nella lettura si avvia pian piano il personalissimo itinerario losangelino, fatto di palme, tramonti arancioni e rami di jaracande, pomeriggi infuocati a Palm Spring, i cottage di Esmerald Bay, le serate folli al Garden of Allah a base di droghe e perversioni a cui le celebrieties hollywoodiane partecipavano ed i successivi ritiri allo Chateau Marmont in cui si diressero le furie ed i fantasmi di un’intera generazione. Le accuratissime descrizioni visive ed architettoniche di L.A sembrano diventare tangibili pagina dopo pagina, (la Babitz fu anche disegnatrice) al contempo emerge una società mondana, fatta di creativi che combattono contro gli stessi demoni delle persone comuni: amore, solitudine, droghe.

“Avevo l’aspetto giusto ma dicevo sempre la cosa sbagliata.”

Slow Days, Fast Company: Il mondo, la carne. L.A è una raccolta intima sullo scintillio losangelino fatto di star hollywoodiane, danaro, fama, ma i cui eccessi non offuscano la capacità chirurgica della Babitz di interrogarsi nell’intimo, mettersi a nudo e mostrare, senza vergogna alcuna, le proprie fragilità.

Photo Credit Immagine di copertina : Rivista Studio

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Anastasia Galvani

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3 commenti

  • Uno dei più bei libri ambientati in California negli anni 60/70. Descrizione di paesaggi epici da vedere, personaggi tanto improbabili quanto veri. Sex, drugs, booze, poco rock & roll!

  • Talmente incomprensibile che non sono riuscito nemmeno a finirlo (prima volta nella mia vita). Da evitare.

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