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“Una moglie a Parigi”: Hadley Richardson ed il suo ingombrante marito Ernest Hemingway

Le relazioni non sempre sono tossiche ma possono annullarci nel silenzio della vita di tutti i giorni. Il talento è ciò che di più si dovrebbe temere in una coppia, poiché dilania da dentro ed intrinsecamente divide all’istante : da un lato chi sostiene e supporta l’artista, dall’altro chi viene idolatrato. Che dire quando tuo marito è uno degli scrittori più famosi al mondo?

The Paris Wife” è un omaggio fantasioso a Hadley Richardson Hemingway, il cui pacifico e tenace sostegno ha aiutato il suo giovane marito a diventare uno scrittore, offrendo così a noi lettori, la possibilità di vedere la persona a cui Hemingway aspirava prima che la fama lo tramutasse in qualcos’altro, tra tormenti, fobie e deliri. Costruendo la sua narrazione immaginaria ma scrupolosamente realistica attorno a del materiale originale, tra cui due biografie e il libro di memorie postumo di Hemingway, “A Moveable Feast”, la McLain inizia drammatizzando su quanto Ernest e Hadley fossero stati danneggiati dalle rispettive famiglie. In effetti colpisce il passato dei due, ricolmo di ferite indissolubili che genereranno future ansie ed agonie. Il padre di Hadley si era suicidato nella loro casa di St. Louis quando lei aveva 13 anni, ed aveva persino pianto la morte di un’amata sorella maggiore e di sua madre. Il suicidio del padre di Ernest invece, avvenne 10 anni dopo. Ernest, che era stato gravemente ferito in Italia durante la Grande Guerra da adolescente e soffriva di incubi e depressione che oggi chiamiamo disturbo da stress post-traumatico, non smise mai di avere continue crisi e deliri nell’arco della sua vita, tuttavia nell’affrontare i fantasmi del passato, i due furono sempre uniti, è per questo che forse il loro legame, anche dopo il divorzio fu sempre molto forte.

Hemingway e Richardson. Photo Credit : Brescia Oggi

Questo primo incontro con la morte ha avuto una profonda influenza su gran parte del comportamento futuro di Hemingway e su tutta la narrativa che ha prodotto. La McLain ha ragione a sottolinearlo, insieme all’abbondante simpatia nei confronti di Hadley che has mere saputo essere di supporto per la sua sofferenza, con sensibilità e compassione. Ernest e Hadley erano tremendamente giù di morale quando si sono incontrati, ma non erano pazzi. Lui aveva 21 anni e desiderava diventare uno scrittore, lei ne 28 anni e desiderava diventare moglie. Si sono innamorati l’uno dell’altro. Se le sezioni iniziali del romanzo inciampano in alcuni dossi espositivi (Hadley: “Cosa intendi fare?” Ernest: “Fai la storia della letteratura, immagino.”), la narrazione trova il suo flusso pochi mesi dopo il matrimonio della coppia, quando si diressero a Parigi, in cui il romanzo prendere totalmente vita. Leggere delle loro giornate passate tra caffè parigini, mostre d’arte, gite fuori porta in aperta campagna e camminate fatte di incontri con gente autentica, per un attimo mi ha riportato alla vita prima dell’avvento tecnologico che coi ha portato ad un completo mutamento sociale. Nelle loro promenade domenicali sento la leggerezza della noia e della lentezza, sento battere nei loro cuori la curiosità per la vita e la fame di bellezza che invece viene costantemente ottenebrata nelle nostre vite fast e poco slow.

Hemingway con il suo primogenito Bumby. Photo Credit: Fotografiamoderna

Questi passaggi di vita vera mi hanno letteralmente estasiato portandomi a viaggiare in un tempo che sembra fantastico più che remoto, facendomi sperimentare una profonda sindrome dell’epoca d’oro, caratterizzata dall’idea persistente di essere nata nel periodo storico sbagliato, idealizzando così epoche passate mai vissute; in tedesco questa espressione è nota col termine “fernweh”, letteralmente: nostalgia della lontananza.

Le impressioni della Hadley sulla città (sporca, sconvolta dalla guerra, pacchiana e cruda ) si distinguono dall’istantanea gioia di Ernest, anche se col tempo arrivò ad apprezzarne “la stranezza e lo splendore”. Non v’era dubbio che qui, a buon mercato, Ernest potesse erigere la sua università informale. Qui ha imparò dai parigini, della classe operaia e dagli intellettuali espatriati, molti dei quali ( in particolare Ezra Pound e Gertrude Stein ) furono per lui mentori e lo sostennero nello sfoggiare un modo incredibilmente nuovo di scrivere narrativa.

Hemingway e Richardson. Photo Credit : Otmamimihome

Come tutti gli amori perfetti, anche questo non poteva che finire. Con la sua prima ondata di notorietà letteraria, Ernest scacciò i suoi mentori, alienandoli con una malvagità auto-sabotante che divenne un’abitudine per tutta la vita. Allo stesso tempo, la sua cerchia sociale si allargò fino a includere una nuova folla avventatamente moderna ( tra cui Scott e Zelda Fitzgerald, Duff Twysden, Sara e Gerald Murphy).

Il loro stile di vita bohémien di alto livello minacciò Hadley, che ormai era felicemente occupata dal primo adorabile figlio di nome Jack soprannominato Bumby. Poco dopo, un tradimento ancora più disgustoso, Ernest progettò un’uscita dal suo matrimonio conducendo una relazione aperta e prolungata con l’amica di Hadley, la pericolosamente chic Pauline Pfeiffer, che divenne la seconda delle sue quattro mogli. Lei, la Pfeiffer, giornalista di Vogue, ricca vamp di città molto vicina allo scrittore, riconosciuta da tutti come sua amante ufficiale (chiamata “il diavolo in Dior”, diventa la sua seconda moglie per essere poi accusata dallo stesso Hemingway nel memoir Festa mobile, di aver “ucciso la purezza del suo primo matrimonio” ), ormai presenza fissa nella vita dei coniugi, tant’è che persino Hadley è a conoscenza della laision.

Hemingway e Pfeiffer. Photo Credit: Dagbladet

La McLain scrive del dolore di Hadley durante l’agonia del suo matrimonio con una delicatezza disarmante, adatta a questa donna modesta e decisa, “nata per dare ” , poco a suo agio nel ricevere. (È chiaro che l’autrice ne sa molto sull’abbandono: il suo libro di memorie del 2003, “Like Family”, è un ricordo schietto e bruciante di come lei sia cresciuta presso famiglie affidatarie negli anni ’70.)

La fama trasforma Hemingway in una leggenda autoprodotta, un archetipo e infine una parodia. Era, come scrisse Joseph Epstein sul Washington Post nel 1970, “il primo degli scrittori americani che conoscevamo troppo bene”. Parte del successo della McLain in questa storia sulle origini, è farci guardare di nuovo al marito parigino dietro la moglie parigina; non al mitico artista spavaldo, ma al giovane scrittore consumato dalla morte, colui che ha inventato un nuovo linguaggio, portando in vita un’emotività vivida e straziante.

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Anastasia Galvani

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